Vittorio Giorgini

Note biografiche

Vittorio Giorgini, Firenze 1926-2010

Formatosi in una Firenze ricca di fermenti culturali a cavallo degli anni ‘50 e ‘60, Vittorio Giorgini è stato un protagonista della cultura fiorentina nel secondo dopoguerra, una personalità di rilievo che negli anni Sessanta ha offerto non pochi e stimolanti contributi didattici agli studenti della Facoltà di Architettura di Firenze, partecipando per un decennio all’attività didattica accanto a Leonardo Savioli e a Giuseppe Gori.
Nel 1949 collabora con Franco Zeffirelli alla realizzazione scenica di “Troilo e Cressidra” (per la regia di Luchino Visconti), al XII Maggio Musicale Fiorentino. Negli anni a seguire, quando era cominciata l’avventura della Moda promossa dal padre, si trova a dedicarsi ad allestimenti e scenografie per le sfilate e per le feste ad asse collegate (in collaborazione con il celebre “disegnatore” della luce Guido Baroni).
Grande sportivo, frequenta l’Abetone, trovandosi a sciare assieme a Emilio Pucci, Fosco Maraini, Celina Seghi e Zeno Colò.
Subito dopo la laurea (1957), lo troviamo attivo a Roma, nello studio di Claudio Longo (presentatogli dall’amico e artista Renzo Capezzuoli). Una parentesi, quella romana, che lo mette a contatto con gli architetti della capitale, tra i quali ha modo di conoscere e apprezzare Luigi Moretti (che ritroverà a distanza di anni, ironia della sorte, nel giorno della sua morte, avvenuta all’isola di Capraia nel 1973, dove casualmente anche Giorgini si trovava in vacanza).
Di ritorno a Firenze apre lo studio inizialmente assieme a Walter Di Salvo, per poi proseguire da solo l’attività professionale.
Prima di divenire noto con casa Saldarini (1962), Giorgini realizza casa Esagono a Baratti (1957) e il singolare allestimento della galleria d’arte “Quadrante” a Firenze (1959), basata anch’essa sullo studio delle forme della natura a cui l’architetto si dedica ininterrottamente dalla metà degli anni ‘50.
Casa Saldarini gli valse l’invito alla “Prima Triennale Itinerante d’Architettura Italiana Contemporanea” (Firenze, 1965) dove espone il I° Manifesto di Spaziologia (termine che racchiude quella che per Giorgini vuole diventare una disciplina dalla quale partire per la definizione di un linguaggio architettonico garante di innovazione tecnologica) accanto agli architetti della nuova generazione come Gregotti, Viganò, Savioli, Ricci, Portoghesi, Dardi, Castiglioni, Canella ed altri.
Nello stesso anno, assieme ad Agnoldomenico Pica, e con la collaborazione di Luigi Terragni, è a Tokio, dove allestisce la mostra “Italia 1965. Architettura. Produzioni d’arte”.
Nel 1968, in occasione della personale tenuta a Ferrara nel Palazzo dei Diamanti, Giorgini propone il II° Manifesto di Spaziologia che tratta l’analisi dei rapporti tra progettazione classica e progettazione della natura.
Nel 1969, dopo un’intensa attività professionale durante la quale collabora, fra gli altri, con lo stesso Savioli, con Ludovico Quaroni e con Edoardo Detti, prosegue negli Stati Uniti il suo impegno progettuale, conducendo l’attività di docente nella “School of Architecture” del Pratt Institute di New York.
Agli inizi degli anni ’70 espone gli ultimi risultati del proprio lavoro progettuale alla Columbia University, all’Howard Wise (dove presenta il III° Manifesto di Spaziologia), alla Syracuse University ed al Columbus Museum.
Nel 1975, in occasione del congresso mondiale sull’energia denominato “On Site”, presenta il IV° ed ultimo Manifesto di Spaziologia.
Nel 1978 è presente alla Biennale di Venezia e l’anno successivo al Museum of Modern Art di New York alla mostra che ha per tema “Trasformazioni nell’architettura moderna”.
Nel 1982 il National Institute for Architectural Education promuove l’esposizione degli ultimi progetti giorginiani basati su strutture leggere di maglie spaziali simmetriche ed asimmetriche. Qui troviamo l’Interstate Highway Oasis Prototype del 1973, Machu Picchu del 1976, il progetto del quartiere Roosvelt Island a New York e Biscayne Bay a Miami del 1976, South Street Seapoint Housing del 1978 ed infine Hydropolis del 1981 e Walking Tall del 1982, che rappresentano esempi di coraggiosi interventi sul tessuto urbano di Manhattan.
Del 1984 è il progetto Genesis per New York.
Nel 1990 partecipa con l’architetto Claudio Cantella al concorso per il Patent Office all’Aia.
Del 1993 è l’ultimo significativo progetto statunitense: River Crane per New York.
Nel 1995 l’Arca edizioni pubblica “Spaziologia. La morfologia delle scienze naturali nella progettazione”, presentato a New York da Kenneth Frampton, primo testo completo della ricerca giorginiana.
Nel 1996 rientra a Firenze.

Nell’ultimo decennio di vita approfondisce la ricerca già avviata negli anni ’70 inerente lo studio di soluzioni legate ai problemi dei trasporti urbani, del traffico e delle infrastrutture. In questo quadro si inseriscono i progetti per le monorotaie leggere, per il ponte di Messina e le canalizzazioni sotterranee per le città.
Il suo principale interesse è stato rivolto all’osservazione delle strutture naturali considerate come dei modelli in grado di fornire indicazioni utili per la definizione di nuove soluzioni progettuali. È confidando in questo meraviglioso ‘modello’, capace da millenni di sperimentare infinite soluzioni in grado di sopravvivere e partecipare all’evoluzione complessiva del pianeta, che Giorgini ha elaborato arditi e inconsueti progetti, sconfinando fra la geniale sperimentazione e l’utopia più astratta.
Molto importanti e significativi sono stati nella sua carriera i rapporti e le influenze con gli ambienti artistici e intellettuali. Ha stretto amicizie e frequentazioni, tra gli altri, con Vinicio Berti, Piero Dorazio, Emilio Vedova, Alberto Burri, Lucio Fontana, Antonio Bueno, Corrado Cagli, André Bloc, Isamu Noguchi, Aurelio Ceccarelli, Tano Okamoto, Renzo Capezzuoli, Mario Mariotti, Robert Sebastian Matta e Gordon Matta-Clark. A New York, nel breve periodo che frequenta il “salotto” di Priscilla Morgan, ha modo di conoscere Robert Rauschenberg (a cui si avvicina partecipando al movimento da lui fondato “Experiments in Art and Technology”), Mark Rothko, Andy Wharol e Christo, oltre a Alejandro Otero, Lilian Kiesler e molti altri. Stimoli che non possono non trovare riflesso nel suo incedere progettuale, particolarmente sensibile ai fermenti delle varie espressioni d’arte.
Per varie vicissitudini entra in rapporti con Buckminster Fuller, Paolo Soleri, Thomas Hoving (ex direttore del Metropolitan Museum), Fred Coe (regista e produttore televisivo che diede ospitalità a Vittorio nei primi tempi in cui questi arrivò a New York), Willem Dafoe (vicino di casa in Wooster Street a Soho). Tra gli intellettuali si ricordano le amicizie con Emilio Villa, Marcello Ceccarelli, Peter Blake e Roberto Vacca.
Nel 1951 conosce Frank Lloyd Wright; seduti ai tavoli del caffè Leland a Firenze, discute con lui sull’ipotesi di un progetto per l’esposizione fiorentina della moda, nell’epoca in cui il padre di Vittorio, Giovan Battista Giorgini, inventò e lanciò l’alta moda in Italia.
È stato amico di Richard Neutra (conosciuto durante una gita di quest’ultimo a San Gimignano, nel 1949), e che lo esortava a trasferirsi negli Stati Uniti per lavorare con lui. Sempre tra gli architetti ha frequentato Giovanni Michelucci, Giovanni Klaus Koenig, Mario Bigongiari, Franco Borsi, Leonardo Ricci, Leonardo Savioli, Craig Elwood, Paul Rudolph, John Johansen, Haresh Lalvani, e l’amico di sempre Paolo Riani.
Attento al dibattito architettonico contemporaneo ha partecipato a numerosi concorsi ed è stato più volte invitato a convegni internazionali, accanto a Norman Foster, Richard Rogers, Renzo Piano e a molti altri.
L’attenzione critica – nell’ultimo decennio – nutre un rinnovato interesse verso il suo lavoro.
Nel 2001 esce la prima opera monografica completa “Vittorio Giorgini. La natura come modello”, a cura di Marco Del Francia, edita da Pontecorboli.
Nel 2002 il Centre Pompidou di Parigi e il FRAC Centre di Orléans acquisiscono per le proprie collezioni permanenti 17 modelli architettonici facenti parte del suo archivio.
L’anno seguente riceve il Premio Pro Bonis Artibus dall’Accademia Florentia Mater di Firenze e il premio per il progetto più originale al concorso per la progettazione della nuova torre civica di Scarlino.
Ancora nel 2003 alcune sue opere sono presenti nella seguenti mostre:
– “La grande svolta. Viaggio negli anni Sessanta in Italia” (Palazzo della Ragione, Padova).
– “Architectures experimentales. 1950-2000” (FRAC Centre, Orleans, Paris)
– “Architectures non Standard” (Centre Pompidou, Paris).
Nel 2004 è nominato membro accademico dell’Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze.
Nel 2005 alcuni suoi lavori sono esposti in Giappone al Mori Art Museum di Tokyo, assieme alla collezione del FRAC Centre di Orléans.
Nello stesso anno l’Università Mediterranea di Reggio Calabria organizza una conferenza in suo onore, con Massimo Giovannini, Luigi Prestinenza Puglisi, Renato Nicolini, Marcello Sestito e Marco Del Francia.
Sempre nel 2005 il Vitra Design Museum di Basilea acquisisce per la propria collezione un’opera di design di Vittorio Giorgini, ovvero una caratteristica sedia a tre gambe progettata e realizzata nel 1954.
Nel 2006 è presente alla mostra “Future City – Experiment and Utopia in Architecture 1956 – 2006”, al Barbican Art Gallery di Londra.
Ancora nell’autunno del 2006 espone una serie di modelli topologici nella mostra “Morfologia-Topologia-Spaziologia” nelle sale della Pinacoteca Pubblica di Volterra.
Nel 2008 vince il Concorso al Premio Musmeci per il progetto sul Ponte di Messina.
Convinto dell’interdipendenza tra ambiente e cultura, Giorgini non ha mai smesso di interessarsi di psicologia, antropologia e storia delle religioni, scrivendo illuminanti saggi tra cui “Le Religioni plagiano”, piccolo caso editoriale ristampato a distanza di alcuni anni dalla prima edizione, dalla Arduino Sacco Editore.
Muore a Firenze il 19 febbraio 2010

Nel 2012 è nata l’associazione “B.A.Co. (Baratti Architettura e Arte contemporanea) Archivio Vittorio Giorgini”, che custodisce, gestisce e valorizza l’archivio, dichiarato “di interesse storico particolarmente importante” con Decreto N° 229/2013 dalla Soprintendenza Archivistica della Toscana e Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana e, dal 2013, gestisce Casa Esagono con una concessione d’uso stipulata con il Comune di Piombino, attuale proprietario dell’opera.

Dicono di lui

Luigi Prestinenza Puglisi

Giorgini era un personaggio interessante, straordinario e dimenticato dalla cultura ufficiale. La sua opera meritava una lettura e una riflessione. Le sue idee, hanno anticipato tesi che oggi vanno per la maggiore.

Oltre a Vittorio Giorgini andrebbe rivalutato Luigi Pellegrin. Ambedue avevano un’idea della forma singolare; non frutto dell’estro, ma modo di organizzare razionalmente la realtà. È un insegnamento nato dall’osservazione della natura, che è alla base del loro forte organicismo.
È’ un tema molto interessante e moderno, che punta all’equazione: forma uguale struttura uguale informazione uguale significato e tante altre cose. Vittorio Giorgini è vittima della cultura tafuriana. Di un modo estremamente formalista e tradizionalista di vedere il mondo che ha rimosso decine di grandi personaggi. Per privilegiare invece mediocri quali Gregotti, Purini, Gae Aulenti. Quella Gae Aulenti che a mio parere non vale un decimo di Vittorio Giorgini. Di lui si sapeva poco e, peggio, non si riusciva a salvaguardarne le architetture. Solo grazie ad una campagna pressante sulla presS/Tletter, la DARC gli diede un qualche peloso riconoscimento.

Tratto da “0045 [MONDOBLOG] Attraverso mail: Luigi Prestinenza Puglisi”, a cura di Salvatore D’Agostino, martedì 28 giugno 2011.

Paolo Riani

A Baratti ci venni la prima volta 10 anni fa. Allora non c’era niente oltre ai pini e alla presenza di Populonia, più immaginaria che reale, sfuocata com’è, sul promontorio. Giorgini lo conobbi dopo. Diventammo amici e tornammo insieme qualche volta a Baratti. Mangiavamo con Demos, uno del posto che aveva una trattoria e parlavamo di pesca, di gente di lì e di altre cose.

Giorgini diceva che qualcosa di nuovo in architettura ci doveva pur essere e parlava di forme che si svolgono libere nello spazio secondo leggi ancora sconosciute.

La casa la costruì più tardi, con entusiasmo. E con trepidazione, anche. Non c’erano precedenti su cui basarsi, e che avrebbero potuto confortare. Costò poco. Ci lavorò anche lui, materialmente con le mani, a tendere la rete, e a spruzzare il cemento. Non ci furono imprevisti o difficoltà. Adesso la casa emerge dalla vegetazione con naturalezza, inserita biologicamente nella natura come una roccia scavata dal vento del mare. O come un animale preistorico, enorme e buono. O come se ci fosse sempre stata lì sul promontorio.

Una casa scultura, in «Ville e Giardini», 32 (agosto 1970), p. 3.

Haresh Lalvani

I progetti pionieristici di Giorgini emergeranno come una guida e continueranno a ispirarci attraverso la loro esemplare sintesi di arte e scienza architettonica attuata nel vigoroso lavoro di un visionario coraggioso.

Dalla scuola di architettura biomorfica a quella morfologica: considerazioni sul lavoro di Vittorio Giorgini, in Spaziologia. La morfologia delle scienze naturali nella progettazione, L’Arca Edizioni, Bergamo 1995, p. 254.

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